Usciamo ancora frastornati di emozioni dalla sede Apple, e decidiamo di completare la giornata (sono ormai le 17) andando alla ricerca del celeberrimo ‘garage’ dove Steven Paul Jobs e Stephen Wozniak avevano – appena adolescenti – realizzato il famigerato quanto straordinario Apple 1.
L’indirizzo del garage è noto: Los Altos, Crist Drive 2066 (ringraziamo William per la sua accuratezza), per cui lasciamo alle nostre spalle Cupertino e ci dirigiamo verso il limitrofo paesino di Los Altos, alla ricerca dell’agognato sito. La cittadina di Los Altos è fatta di edifici bassi, larghe strade (come nella maggior parte degli States del resto), e tante, tantissime case affiancate l’una all’altra, tutte uguali ma tutte diverse, rigorosamente in legno, rigorosamente con la staccionata bassa che divide i giardini delle rispettive proprietà, come tante volte abbiamo visto nei telefim di ‘Happy Days’. Piano piano, scorrendo lentamente quelle strade, con il sole che scendeva sull’orizzonte, sembrava quasi di rivedere i personaggi amici… e una straordinaria atmosfera di serenità ci invadeva; il paesaggio è estremamente gradevole, ci sono case curatissime e altre più dimesse, quasi tutte espongono la bandiera americana, moltissime hanno il garage e sopra di esso l’immancabile canestro per giocare a basket nel cortile. Affascinati dalla tranquillità dei luoghi, quasi non ce ne accorgiamo e imbocchiamo Crist Drive, dove al numero 2066 sapevamo esserci il luogo natìo di Steve che, lo ricordiamo, è stato adottato e quindi non ha mai conosciuto i suoi veri genitori. Qualche imbarazzo nel capire la posizione del garage, ecco… ci siamo… è qui.
E’ difficile, se non impossibile, spiegare che cosa abbiamo provato. Pensare che, a sedici anni, Steve in quel garage ha pensato e creato l’Apple 1 con l’amico Wozniak… quanti di noi alla stessa età hanno iniziato a cambiare il mondo? Che cosa ha fatto sì che in questo ragazzo adottivo ci fosse la scintilla dell’innovazione, della scoperta, della rivoluzione?
Siamo immersi in questi pensieri quando ecco che sopraggiunge dall’altro lato della strada un anziano signore, visibilmente incuriosito e anche un po’ preoccupato. Gli spieghiamo chi siamo, da dove proveniamo, perché siamo in adorazione davanti a quel garage. E lui si presenta:
[quote]’Mi chiamo Gene’ – dice, ‘e sono il proprietario di questa casa. Ho conosciuto Steve da quando è arrivato qui, con i suoi genitori adottivi, l’ho visto giocare e crescere, e ricordo benissimo quando si vedeva con il suo amico d’infanzia Stephen… Ricordo anche perfettamente quel pomeriggio, sì era un pomeriggio estivo, sapete quelle giornate afose d’agosto, quando corse da me, io stavo annaffiando il giardino, e in mano aveva una cosa strana, tutta piena di fili…’
Gene, guarda! Guarda qua che cosa abbiamo fatto!
E io gli chiesi, un po’ seccato: che cos’è quella roba?
E’ un apparecchio elettronico, è come una di quelle cose grandi che usano nella grandi industrie, alla Nasa, alla IBM, ma questo è piccolo, è trasportabile, lo si può usare in casa: è un computer personale, insomma!
E che me ne faccio di quella roba? – gli chiesi stupito
Beh, non lo so… lo puoi collegare all’apparecchio televisivo e scrivere!
Come collegarlo all’apparecchio televisivo? Per scrivere? Che diavolo dovrei scriverci sopra?
Ma non lo so, i tuoi appunti, le cose da comprare per la casa, ecco tua moglie potrebbe annotarvi sopra le ricette di cucina!
Ma Steve, mia moglie le ricette le scrive su un quaderno, cosa vuoi che me ne faccia di quell’aggeggio… come hai detto che si chiama? Computer, o roba del genere
Gene, non capisci… non capisci, fa niente adesso devo andare
Li guardai tornare indietro, percorrere il breve tratto di strada che separa tuttora la mia abitazione da quella dei suoi genitori, e pensai scuotendo la testa che doveva essere anche un po’ strano quel ragazzo, con tutte quelle manie di roba elettrica.
Poi, con il passare dei mesi, vidi sempre più strane persone venire davanti a quel garage; prima ragazzi della sua età, poi uomini d’affari in macchine sempre più grosse, addirittura con delle limousine; e infine, un bel giorno sparì e non ne seppi più nulla per molto tempo. Solo più avanti compresi che quel primo apparecchio che avevo visto avrebbe cambiato per sempre il panorama mondiale di quello che all’epoca era un mondo sconosciuto: l’informatica.
I genitori adottivi di Steve sono morti entrambi, ora in quella casa vive la seconda moglie del padre adottivo; Steve viene qui a trovarla più o meno una volta all’anno, non manca mai di farlo; e io oggi ripenso alla mia superficialità nel giudicarlo, pensate: ho una figlia della sua età, quando cominciai a capire che cosa stava diventando sperai tantissimo di poterli vedere sposati insieme, ma nulla da fare… che occasione mancata!'[/quote]
Ascoltiamo Gene incantati, quasi inebetiti; nessuno ha la forza di scattare una foto, o di registrare l’incredibile racconto che ci regala; l’amico Emanuele Donetti gli fa ancora qualche domanda, scopriamo anche che è stato in guerra, è un veterano, come molti in america. Poi lentamente torna alla sua abitazione, lasciandoci una straordinaria sensazione, quasi come esserci stati anche noi, in quel pomeriggio, con lui e Steve.
Lo ringraziamo e gli chiediamo un ultimo favore, una foto ricordo.
Risaliamo in macchina, frastornati e quasi ubriachi dalle emozioni, un ultimo sguardo alla casa di Steve, di sbieco, attraverso i finestrini della nostra automobile, e poi proseguiamo il nostro viaggio. L’entusiasmo che abbiamo provato visitando la sede di Cupertino qui si sono arricchite di una vena romantica che ci terrà compagnia per il resto della nostra permanenza in California, regalandoci una serie di ricordi incancellabili. La serata di mercoledì si conclude alla volta di San Josè, alla ricerca del celeberrimo Computer History Museum, ma non abbiamo le indicazioni esatte e ci perdiamo per la città.